L’idea di fondare il blog The Diary of a Designer, la sua Toscana, consigli per giovani designer: Camilla Bellini si racconta ai taccuini di EN23.
– Camilla, come è nata l’idea di fondare “The Diary of a Designer” e come sei riuscita a portarlo ad essere così seguito?
Da tempo volevo far convogliare i contenuti che proponevo sui social in un contesto che fosse più mio, che rispecchiasse appieno il mio modo di pormi e di comunicare. L’idea del blog quindi è nata da questa esigenza. Una volta costruito il sito ho poi iniziato a popolarlo con contenuti interessanti, legati al design che più preferivo. Piano piano si è costruita intorno a me una community di appassionati che, incuriositi dai social, hanno iniziato a leggermi anche sul blog.
– Tecnica ed emozione. Sei una designer professionista e una blogger che ha saputo comunicare il design di qualità alle persone, aiutandole a conoscere e condividere ciò che di più bello c’è in questo mondo. Quanto lavoro c’è dietro tutto questo?
C’è un intenso lavoro quotidiano che non potrei affrontare con la stessa professionalità se non avessi con me la mia socia e creative director del progetto Camilla Bellini – The Diary of a Designer, Giulia Grilli e il mio team social. Tra online e offline la giornata lavorativa è di oltre 8 ore. È impegnativo, ma si ride tanto e l’atmosfera in studio è davvero bella.
– Quanto peso ha il privilegio di vivere in Toscana nella tua professione, magari per delle ispirazioni?
Di certo il contesto artistico e paesaggistico dove si lavora è sempre importante. In Toscana ho la fortuna di attingere a mille stimoli diversi anche semplicemente affacciandomi alla finestra. Mi capita spesso di fare lunghe passeggiate e di fermarmi sui dettagli degli edifici, più o meno storici, sbirciando sempre al loro interno. Gli oggetti e l’arredamento hanno sempre un effetto calamita sul mio sguardo. È deformazione professionale! Anche se la base è in Toscana, mi sposto molto. Occupandomi di design, ovviamente, Milano è un po’ la mia seconda casa.
– Cosa significa per te l’arredamento?
L’arredamento è parte viva e vibrante di ogni contesto abitativo. Ogni spazio che abbia un’anima non può prescinderne. Mi riferisco anche agli esterni e ad ambienti con zone comuni. Non so neanche immaginare una stanza di una casa totalmente priva di arredamento. È un po’ come se ad un organismo umano mancasse qualche organo vitale. Insomma, l’arredamento ci deve essere. Con gusto e stile, ma ci deve sempre essere.
– Sei stata selezionata come membro italiano del Discovery Jury del Maison&Objet di alcuni mesi fa. Che sensazione è stata trovarsi in un ruolo di responsabilità in un evento così importante dedicato all’art de vivre?
Ricordo ancora il giorno in cui mi hanno proposto ufficialmente di far parte della Discovery Jury. È stato un segno importante, la prova che fino a quel momento avevo lavorato bene. È stato un po’ come raccogliere i frutti dopo tanto lavoro. La responsabilità è stata tanta e la voglia di fare bene era un imperativo. Il Maison&Objet di Parigi è un appuntamento importante per tutto il mondo del design. Prendervi parte, per di più in qualità di giudice in rappresentanza dell’Italia, ha significato essere in qualche modo protagonisti di uno scenario di altissimo livello. Poi Parigi sa rendere certe occasioni ancora più speciali. Ho cercato di godermi appieno la città, anche se i tempi di lavoro e i ritmi in Fiera erano serratissimi.
– Che cosa ti ha attirato di più la tua attenzione nell’edizione di quest’anno e perché hai premiato “Sola Cube“? Cosa ti ha impressionato maggiormente di questo gioiello decorativo?
L’edizione dello scorso gennaio è stata caratterizzata dalla mancanza di un vero e proprio tema centrale e forte. Tutti gli stand erano popolati da una coesistenza di più correnti stilistiche. Una situazione eterogenea che non ha lasciato prevalere una tendenza sulle altre. Tutta questa varietà è stata una vera gioia da guardare. La scelta di premiare Sola Cube è nata dal cosiddetto effetto calamita di cui parlavo qualche riga sopra. Appena i miei occhi si sono posati su questo cubo in resina, ho avuto pochi dubbi. La poesia racchiusa e incastonata in uno spazio così piccolo e così minuziosamente sublime si è guadagnata il mio apprezzamento.
– È corretto se affermiamo che sei una designer dai toni decisi e contemporanei? In questo contesto cosa pensi degli arredi in stile industriale e cosa pensi nello specifico dell'”urban style”?
Amo molto gli accostamenti di stile che non riservano sorprese ma sprigionano improvvisamente un guizzo di bellezza sopra le righe. Non ho gusti esattamente contemporanei, ma la sperimentazione stilistica che si riscontra spesso oggigiorno mi interessa più del “per forza moderno”. Il vero design, in fondo, è senza tempo. Lo stile industriale e l’urban soul sono distanti dalla mia cifra stilistica, ma so riconoscerne la qualità e apprezzo chi sa affrontare uno stile in modo schiettamente originale.
– Quali sono le soddisfazioni principali che hai ottenuto nel tuo lavoro?
Ogni cliente soddisfatto è un grande piacere per me. Fra i vari progetti di uffici, showroom, ristoranti e case private, non sono mancate le soddisfazioni. Quello che più mi soddisfa è, però, avere un’idea, brevettarla e realizzarla: adoro il design industriale.
– Cosa pensi degli arredi EN23?
Gli arredi EN23 hanno una forte riconoscibilità a livello stilistico. Il principio di recupero degli oggetti è una tematica molto impattante per chi ha sensibilità verso certi temi e ci sono indubbiamente numerose realtà di interior che acquisterebbero un’anima più autentica se si aprissero all’utilizzo di elementi di riciclo.
– Che cosa consiglieresti a un giovane designer che volesse praticare questa professione?
A tutti gli aspiranti designer consiglierei di guardare bene il mondo che li circonda, con vivo interesse prima ancora che con spirito di critica. Chi sa cogliere la bellezza in ogni sua sfaccettatura vanta una coscienza del mondo più profonda. Il mio consiglio è di aprire gli occhi alla bellezza, farne tesoro e condividerla. Aggiungerei anche lo studio delle icone di design, quella da cui è nato tutto.
– Progetti per il futuro?
I progetti sono tanti e su diversi ambiti. È tutto un work in progress di cui posso svelare poco, ma posso invitarvi a seguirmi sui social e sul blog per essere aggiornati sui prossimi sviluppi futuri.
– Cosa pensi che potrà essere l’interior design tra 20 anni? Che interior design sogni che possa avversarsi?
È una domanda dalla difficile risposta. Mi auguro che tra 20 anni l’interior design abbia mantenuto il suo “rapporto con le persone”. Ricordiamoci che il design nasce per “essere usato”, per far parte della quotidianità, per vivere in relazione con le persone che ne fruiscono. Mi auguro che questo aspetto non si perda mai.
Grazie Camilla e in bocca al lupo per i tuoi nuovi progetti!
Per ulteriori approfondimenti: https://www.camillabellini.com